Varhackara!

No, non è il nome di un Dio delle saghe nordiche, (tipo un cugino alla lontana di Thor..) e nemmeno uno scioglilingua germanofono. Ispirata alla tradizione culinaria carinziana, la Varhackara è a tutti gli effetti l’unico pesto friulano, nato per valorizzare il lardo del maiale e permettere gustose, quanto sostanziose, merendine agli antichi lavoratori delle miniere montane.

Nella parte pratica, si tratta del lardo nella parte sottocutanea del maiale, che viene salato, pepato e appeso ad essiccare. Successivamente tagliuzzato molto finemente, mescolato – se lo si desidera – con dell’aglio o erbe e conservato nella piera. Dal 2018 è addirittura diventato presidio Slow Food.

La tradizione narra che furono appunto dei minatori arrivati da oltre confine ad esportare le loro abitudini nella zona di Timau. Il match con il Friuli risultava perfetto, per le popolazioni locali, montane o della bassa, il purcìt rappresentava un alimento di primaria importanza, le cui carni venivano di solito spartite tra le famiglie di una stessa corte. Ed era proprio nel cortile interno che, solitamente dal 30 novembre e giù fino a marzo, il maiale veniva macellato in presenza di una nutrita folla di vicini ed amici in atmosfera di festa, intenti a sorseggiare del vino circondati da “nuvole di respiro” invernali. La rarità di questo pesto cremoso (ed il perché non ne abbiate mai sentito parlare) deriva dal fatto che, ad oggi c’è un unico produttore a crearlo, e la produzione è limitata, per cui non sempre si riesce a trovarlo.

Parentesi Masterchef: Con la Vahachara – che è tradizionalmente in uso soprattutto a St. Ruprecht e dintorni, in Carinzia – si prepara un gustosissimo antipasto o merenda, spalmandola cruda su fette di pane o crostini caldi; oppure diventa un prelibato condimento per verdura fresca o minestroni, non meno come condimento per gnocchi di patate o di cjarsons. E perché no, nella preparazione di un originalissimo frico, mettendola a friggere in un pentolino, togliendo successivamente i pezzettini di carne, aggiungendo formaggio e cipolla e cuocendo tutto fino ad ottenere una preparazione piuttosto croccante. E Cracco muto!

Per ovviare ad una dieta tanto vegana, i Timavesi, si aggrappavano ad un’altra (unica) tradizionale bevanda sgrassante del luogo, oggi ormai scomparsa; in bildinkaffe! una bevanda singolarissima, che utilizzava un tipo di fava coltivata in buona parte della Carnia ai bordi degli orti familiari. Il frutto era costituito da baccelli piuttosto simili ai fagioli, di color grigio, che si mettevano a seccare al sole e poi ad abbrustolire, cercando di uniformarne la cottura. I baccelli cotti diventavano neri e venivano macinati, ottenendo una polvere – alle volte finissima – che si metteva in un piccolo contenitore con acqua bollente. Il risultato era un liquido scurissimo, molto amaro e forte, che si gustava zuccherato e “…tanto caldo quanto lo si poteva sopportare.” Era indicato anche come digestivo o contro il mal di pancia, comunque come “…ottimo rimedio contro la rozzezza di alcuni cibi…”.

Come esercizio stilistico, vi sfido a pronunciare senza sbavature ed incertezze il nome della Vacra, ehm Vahacc…..beh, in bocca al lupo!


Dove;

Area di produzione – Paese di Timau, comune di Paluzza, Valle del But, Carnia.

Saperi e Sapori di Timau di Massimo Mentil – Via Maria Plozner Mentil, 42 Timau.

Per Approfondire;

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